Jules

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mercoledì 25 dicembre 2013

Il Dicembre del Villaggio (Leopardi, perdonami!)



Sono stesa a letto, con il portatile sulla pancia, le ginocchia alzate e i glutei indolenziti. Ormai è da un’ora che sono appiccicati al materasso e si sa, non è un toccasana per la circolazione. Peccato che a Natale nessuno mi abbia regalato una ciambella anti decubito. Per una che da sdraiata, si diletta fra fogli, matite, e tasti del portatile talvolta bloccati dalle briciole, sarebbe il regalo utile per eccellenza. Con la U maiuscola. In questi momenti mi sento come una mummia in un sarcofago. Protetta, chiusa in uno spazio ristretto, al calduccio, circondata dagli oggetti su cui in vita ha sempre veramente contato, e nulla più. E’ il giorno di Natale, e stavo riflettendo sul fatto che il mese di dicembre, prima di questa fatidica data, sia paragonabile ad un lunghissimo sabato del villaggio leopardiano che dura però ventiquattro giorni. Sono giorni di attesa, di preparazione materiale e psicologica. Il fermento si respira ovunque e il suo aroma si fa decisimente più incisivo, nel momento in cui tornando dal lavoro, noto che le luci e gli addobbi lungo le vie del Paese sono state finalmente montate. E a quel punto, il lato da paesanotto in vena di polemiche che vive in ognuno di noi, incomincia a borbottare che il sindaco, in fondo, risparmia solo sul cavolo che vuole. Le luci natalizie? Quanto spreco di energia! Il Natale negli ultimi anni non è altro che una gran commercialata, utile solo a far sentire poveri i più poveri e ricchi i più ricchi. Si stava meglio quando si stava peggio. Non esistono più le mezze stagioni. Ad ogni modo, dopo questa sbrodolata di luoghi comuni, penso che la data ufficiale di inizio del clima natalizio sia quella in cui, come ogni anno, decido di andare con il mio amico Dario all’artigiano in fiera. Di solito mi riprometto di approfittare della situazione per trovare la maggior parte dei regali, ma poi finisco sempre per perdermi fra valanghe di assaggini, stuzzicanti ristoranti tipici, e fiumi di bevande alcoliche pronte per essere degustate. La varietà è immensa. Nessun padiglione è privo di tentazioni. Nella zona dell’Europa trovi Sangria e birre per tutti i gusti. Quest’anno ho addirittura ceduto ad una nauseante birra belga alla ciliegia, dolce da far schifo, sembrava di bere un Mon Cherie sciolto. Negli stand italiani trovi una miriade di liquori a tutti i gusti, roba che il limoncello a confronto, risulta banale quanto le tovaglie a quadrettoni bianchi e rossi dei peggiori ristoranti italiani all’estero. Nel padiglione dei paesi intercontinentali invece, la vista viene continuamente distratta dai cartelli fuori dai bar che ti offrono chupiti, tequila, mojito, caipirina e chi più ne ha più ne metta. Alla fine della fiera (il doppio senso è voluto) ti ritrovi brillo, satollo, col portafogli vuoto e senza regali. Una gita nel paese dei balocchi senza grillo parlante a seguito. Siamo tanti pinocchi in preda alle tentazioni, con la differenza che il gatto e la volpe vivono proprio dentro di noi. La trinità ci fa un baffo, perché ognuno come minimo, è composto da cinque entità: pinocchio, il grillo parlante, il gatto, la volpe e la nostra personale capacità di giudizio, la quale, a volte consapevolmente altre inconsapevolmente, si deve barcamenare in mezzo a tutto questo casino. Dopo il primo periodo dedicato al deboscio sfrenato, una volta superate le prime due settimane di dicembre, arriva il momento dell’assalto ai negozi del centro o ai centri commerciali. Finalmente la ricerca dei regali si fa concreta, e non è più solo un’idea lasciata a bagnomaria in modo che sia ben malleabile per la settimana successiva. Non si scappa, in ogni fottuto negozio trovi il banchetto per i pacchetti regalo, presieduti da commesse col cappellino di Babbo Natale. Questa è la prova del nove. A questo giro ti ritrovi con il portafogli incenerito, e con la consapevolezza che se all’artigiano in fiera non avessi speso tutto in bagordi, ti saresti ritrovato con più soldi e meno sensi di colpa, ma allo stesso tempo, con un gettone sprecato per un giro sulla giostra del sollazzo. Alla fine è difficile stabilire cosa sia meglio o peggio. L’ultima fase del nostro “dicembre del villaggio”, corrisponde alla settimana che precede il Natale, in cui normalmente si è oberati di cenoni e serate di ritrovo per farsi gli auguri e per lo scambio dei regali con colleghi, compagni di classe, di corso, del coro della chiesa, dell’anonima alcolisti e così via. Di solito, benchè un po’ forzate a volte, si rivelano come situazioni davvero piacevoli. Sembra quasi che quella sia l’ultima serata in cui ci si parla e ci si vede per come si è sempre stati durante l’anno, prima di subire una metamorfosi kafkiana post natalizia che avrà il suo culmine nella notte di Capodanno. Poi, dopo quest’ultima settimana di attesa, finalmente arriva il giorno della vigilia. Ci si chiede se alla fine, si è riusciti o meno nell’impresa di salutare per l’ultima volta tutto e tutti, prima del pranzo o della cena esecutori passati in compagnia dei propri parenti e del proprio cellulare, unico elemento che ci collega alle persone che avremmo voluto (segretamente o dichiaratamente) vicine, ma che proprio come noi, si ritroveranno a stare per due o tre giorni in quarantena. Per quanto sia piacevole, è facile viverla come tale. Una volta giunti al momento del dolce e dello spumante, dopo aver aperto tutti i regali, ti rendi conto che anche stavolta il Natale e la sua atmosfera sono passati. Allora mi viene da pensare che in realtà la vera festa, il momento di vero godimento, sia proprio quello dell’attesa, dei preparativi, delle cene per farsi gli auguri. Il pranzo di Natale è solo la ciliegina sulla torta che porta alla conseguente disillusione. Rappresenta solo la fine di un ciclo, una bella fine che ti ributta nella routine comune a tutti gli altri mesi dell’anno. Così come di sabato si gode del pensiero che il giorno successivo sarà all’insegna del riposo, in dicembre si gode del fatto che presto sarà Natale. Ma una volta arrivata la fatidica giornata, tutto il godimento provato nell’attesa non si traduce in orgasmo, bensì in disillusione. Avete presente quando i vostri amici vi chiedono di organizzare una cena prenatalizia? Ecco, quello è il momento in cui si raggiunge il massimo piacere. I preliminari. Beato chi ha fatto esperienza dell’orgasmo natalizio. A me deve ancora capitare.

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