Jules

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martedì 11 febbraio 2014

L'ultima volta...l'ennesima!



Lunedì scorso, 3 febbraio 2014, è stato l’ultimo giorno del corso di scrittura creativa tenuto dal professore Cosimo Argentina. E’ stata un’esperienza che mi ha arricchita molto ed è andata al di là delle mie aspettative. Non avevo mai frequentato un corso di questo tipo prima, quindi accettai di iscrivermi a scatola chiusa, in fondo sentivo che di sicuro non avrei avuto nulla da perdere, semmai il contrario. Inizialmente fantasticai su come potesse svolgersi una lezione tipo. Immaginai molte spiegazioni teoriche, utili certo, ma che avrebbero tolto la possibilità ad ogni singolo iscritto di farsi conoscere per come si diletta concretamente, nell’intimità della propria stanza con penna, foglio o portatile. Con mia grande sorpresa, nella realtà dei fatti non è andata proprio così. Le lezioni sono state per me quasi delle sedute psicoanalitiche di gruppo, nelle quali tutti hanno giocato a carte scoperte, e hanno condiviso le proprie evacuazioni su carta senza imbarazzo e senza paura del giudizio dell’altro. Cosimo è riuscito a mettere in luce le qualità, lo stile e i difetti di ognuno di noi facendo critiche più che costruttive. Insomma, se qualcuno mi chiedesse consiglio su un corso di scrittura creativa saprei di certo dove indirizzarli, ad occhi chiusi. Per definire questo percorso in due parole mi viene in mente un ossimoro:  “Anarchia ordinata”: ognuno ha sempre avuto la libertà di dire e scrivere ciò che preferiva, e come succede in rari casi, questa volta il libero arbitrio di ciascuno non ha mai cozzato con quello degli altri, anzi, sono sempre andati tutti a braccetto, a passo di danza, a ritmo di can can oserei dire. Ma visto che quest’esperienza è ormai finita e ci rimane solo l’immancabile pizzata finale alla quale (stranamente devo ammetterlo) parteciperò volentieri,  ho riflettuto sulla fine di qualsiasi percorso in generale, esperienza che nel corso delle nostre vite ci ritroviamo spesso ad affrontare. Nel caso in cui non vedessimo l’ora che una certa esperienza finisca, allora il problema non si porrebbe nemmeno. La sua conclusione in questo caso non può che corrispondere ad un senso di liberazione da una zavorra, che fungeva solo da inutile ingombro. Se invece al contrario è stato qualcosa di positivo e che ci ha particolarmente colpiti, affrontarne la fine potrebbe essere anche un bel boccone amaro e doloroso da buttar giù, o se vogliamo essere meno melodrammatici, potrebbe lasciarci quel tipico senso di agrodolce malinconia, quel misto di gioia, tristezza e smarrimento che spiazza sempre un po’. C’è da dire che per fortuna molte di queste “ultime volte” non le viviamo consapevolmente. Apprenderemo la lieta novella solo successivamente, vivendo, e di sicuro il tutto sarà molto meno traumatico rispetto ad una fine vissuta in maniera consapevole. Ad esempio quando mi ritrovo a leggere l’ultima facciata di un libro che ho amato, provo sempre uno strano vuoto allo stomaco che mi lascia per qualche minuto col fiato sospeso, e in un certo senso mi commuove. Il giorno in cui la mia migliore amica di infanzia mi disse che si sarebbe trasferita a breve in Sicilia, mi resi conto che un percorso stava per concludersi, e provai un senso di smarrimento improvviso, una pericolosa perdita di equilibrio, come in preda ad un attacco di labirintite acuta sulle scale a chiocciola della Sagrada Familia. Il giorno in cui il mio terapeuta mi disse che potevo continuare a “camminare” da sola e che addirittura avrei potuto aiutare io stesso qualcun altro, mi sentii commossa, grata, gioiosa, spaventata, orgogliosa e smarrita allo stesso tempo. Ero anche triste perché adoravo quell’ora passata con lui, ne avrei di sicuro sentito la mancanza. Al momento dell’annuncio le lacrime agli occhi sono state inevitabili. Per non sembrare troppo patetica ho dovuto aspettare la fine della seduta per tornare nella mia auto e scoppiare in un pianto liberatorio. Oppure il giorno del rientro da un viaggio di cui ho goduto ogni singolo istante o quasi. Di norma appena varcata la soglia di casa tutto mi appare uguale ma allo stesso tempo molto diverso da come lo avevo lasciato. Come se tutto fosse filtrato da ciò che di nuovo ho visto, annusato, assaporato e udito. Poi senza che me ne accorga, quella particolare lente incomincia a consumarsi e dopo qualche giorno si stacca del tutto, come un cordone ombelicale. Ciò che ne rimane è solo il ricordo, un’ esperienza in più da inserire nel curriculum da presentare a me stessa.

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